
Noi viviamo ogni momento della nostra vita dentro il paesaggio, ma il più delle volte lo viviamo senza accorgerci minimamente di ciò che ci sta attorno. Il paesaggio attira la nostra attenzione quando un qualcosa di particolare ci fa concentrare su quel particolare evento, spettacolo, scena, allora in quel momento i nostri occhi, il nostro sguardo fanno arrivare nel nostro cervello quegli impulsi che, riattivano tutti i nostri sensi. All’improvviso ciò che viene percepito si trasforma magicamente in un qualcosa che ci riconnette con il tempo, gli affetti, i sentimenti, le emozioni. Conoscenze e saperi, ciò che è noto ma anche ciò che è sconosciuto, ricordiamo ed impariamo. All’improvviso in quel paesaggio in quella scena dal nostro archivio personale, dalla memoria riaffiorano i ricordi, belli o brutti, tristi felici, piacevoli spiacevoli. Solo in quel momento capiamo di essere stati catapultati dentro una rappresentazione teatrale della quale il più delle volte inconsapevolmente siamo gli attori principali, anche se apparentemente noi ci riteniamo solo spettatori.
Nella nostra vita impariamo ed apprendiamo continuamente, se noi guardiamo il paesaggio con un altro sguardo, scopriamo che il nostro vivere quotidiano, il presente, è la rappresentazione del vissuto dell’uomo; una coperta stesa su quanto Gaia seppur animata da grandi sconvolgimenti naturali ci ha messo a disposizione nella sua breve, geologicamente parlando, vita. La terra nelle sue strutture principali o basi naturali rappresenta il reale, il vissuto umano ciò che non è più visibile davanti ai nostri occhi diventa l’immaginario, l’invisibile, il dimenticato, che però possiamo proprio ricercare attraverso quelle esperienze del passato che sono rimaste sparse qua e la nel paesaggio.
Allora il paesaggio si trasforma in un archivio, dove ogni segno, così come ogni documento dentro l’archivio, è in perfetta relazione con un altro segno – documento. Questi, messi in ordine, ci raccontano una storia che è in relazione con altre storie. Il paesaggio diventa narrazione, della vita quotidiana, dei comportamenti, ma anche e soprattutto del sapere umano. Si perché la dimostrazione del sapere non sta solo nell’evoluzione tecnologica, nel come produciamo energia, o di come ci spostiamo da un luogo all’altro, ma anche mettendo in relazione proprio i cambiamenti avvenuti nel paesaggio, prodotto spesso dal sapere dei contadini, della gente comune.
Alla fine del 1700 Filippo Re, osservando nella montagna reggiana un bel campo, chiese ad un contadino come avesse potuto realizzarlo in quel modo vicino ad un corso d’acqua. Questi gli rispose in modo quasi stupito, deviando le acque del torrente tutte le volte che questo andava in piena, come gli egizi utilizzava la tecnica della colmata. Il Re collegò questo sapere non certo all’impossibile conoscenza del mondo egizio del povero contadino, ma all’esperienza.
Il paesaggio è l’insieme delle esperienzialità dell’uomo, quelle personali d ognuno di noi, che possono riguardare il nostro pur sempre breve passato, ma anche quel momento del presente , istante attimo in cui riattiviamo i sensi.
Il paesaggio contiene, sapendolo leggere, il sapere didattico, tutto ciò che è scritto nei libri può essere osservato direttamente, vissuto, il paesaggio è un ipertesto, escluso da una scuola volutamente costruita dentro schemi omologati con la giustificazione dell’obiettivo minimo, dove il modello ideale è diventato un’aula ben protetta con i banchi perfettamente in ordinati file e righe che doveva e deve ospitare una cattedra, un docente che riversa il suo sapere ad un gruppo di studenti agli studenti.
Il “bisogno di paesaggio”, non lo scopriamo oggi, anche se dopo due anni di pandemia, questa “domanda sociale” sta diventando sempre più forte chiedendoci di vivere fuori, all’aperto. Anche la scuola può farlo, certo è, che a livello di pensiero innovativo, non scopriamo niente di nuovo rispetto il passato, dove vi sono stati tanti maestri della didattica e della pedagogia che hanno realizzato scuole che vivevano fortemente di relazioni con l’ambiente circostante e le comunità locali. Proprio perché innovativi non erano ben visti dalla scuola ideologica del tempo, ma anche successivamente e quindi relegati, caso vuole nelle aree rurali, oggi dette marginali.
Oggi ri-parliamo finalmente di aule all’aperto, di conoscenza che prende forma nella ricercazione nel laboratorio territorio, parliamo del docente regista, del sapere che prende forma attraverso l’esperienza. Il paesaggio diventa un modello formativo, sia per accrescere le conoscenze di tutte le persone che vogliono apprendere, ma soprattuto per formare cittadini attivi, abitanti dei luoghi che danno valore a quello che c’è, non a quello che non c’è.
Concludendo. Il paesaggio non è una materia da insegnare ma uno strumento per apprendere pensando in modo multidisciplinare guardando oltre le discipline.
Fabrizio Frignani è stato incaricato come esperto del paesaggio nell’ambito della Strategia Nazionale Aree Interne “La montagna del latte” per seguire la formazione dei docenti e le progettazioni delle scuole del territorio dell’Unione nell’ambito del paesaggio.