
Intervento di Giampiero Lupatelli al Webinar UNCEM con la Ministra Maria Stella Gelmini del 26 ottobre 2021.
Ci sono segnali eloquenti che il Paese sta svegliando le proprie energie migliori, pronto a metterle in campo. Segnali forti e importanti, come l’evidenza delle cifre che ci parla di una ripresa della crescita del l’economia, dopo la caduta pandemica, più intensa e più rapida di quanto non avessimo previsto.
Segnali più deboli, ma non meno importanti, ci vengono dagli umori degli attori sociali, nelle imprese, nelle istituzioni, nella società.
Tra questi io mi sono ormai specializzato a cercare di cogliere quelli che vengono dal tessuto più minuti di cui sono buona rappresentanza i Sindaci dei piccoli comuni che dominano la scena, non solo istituzionale, della nostra Montagna e rappresentano uno spaccato profondo della sua organizzazione civile.
Darei però una immagine distorta della realtà che percepisco se, nel cogliere questi segnali non cogliessi anche la vena di preoccupazione che accompagna l’attesa di quel che sarà e la disposizione a rendersi parte della mobilitazione del Paese.
Il campo di aspettative che registriamo, sicuramente trae alimento dal rinnovato attivismo delle istituzioni, scosse dalle sollecitazioni impellenti il volume inusitato degli investimenti (e delle riforme) che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci chiama a realizzare, in tempi per noi insolitamente celeri.
Se lo leggo con gli occhi dei sindaci dei piccoli comuni della montagna, che mi sono abituato oramai a considerare come miei, il panorama delle attese si carica della preoccupazione di restare al margine del grande flusso – di attività e di innovazione, ancora prima che di risorse finanziarie – che il PNRR metterà in moto.
Queste preoccupazioni non nascono dalla convinzione che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si sia dimenticato dei territori interni e montani, dei piccoli comuni: Di quei luoghi che la letteratura economica aveva recentemente caratterizzato come “i territori che non contano” per cogliere le ragioni profonde di una ondata di proteste che, dai quei territori, ha scosso le società occidentali.
Qualche esercitazione, che anche a me è capitato di fare, stima che il volume di risorse che esplicitamente o implicitamente il PNRR destina a questi territori del tessuto minore del Paese possano quasi raddoppiare la capacità storica di investimento dei comuni minori italiani, triplicarla se guardiamo al più recente periodo di magra che ha seguito la Grande recessione delle due crisi del 2008 e del 2011, quando i vincoli di bilancio si sono fatti più intensi e stringenti.
I soldi, dunque ci sono, una volta tanto. Quel che bisogna assicurare è invece – per tutto il Paese, ma ancora più drammaticamente per il tessuto minore della sua trama insediativa, la capacità di spenderli, spenderli in fretta spenderli bene. C’è bisogno di supporto e di sostegno perché questo avvenga. Ma c’è soprattutto bisogno di una forte convinzione interiore. Di una convinzione di potercela fare la cui ragione più solida e radicata è la consapevolezza di non essere soli.
Credo che non spenderemo mai abbastanza parole – e soprattutto dovremo spendere una dose davvero cospicua di fatti – per sostenere i processi associativi dei piccoli comuni, quelli che la legge 158 chiama, nella loro forma associata, ad assumere l’ambizione delle politiche di sviluppo locale come orizzonte e traguardo della propria iniziativa. Piccoli comuni che in Montagna hanno una lunga pratica di cooperazione comunitaria, appannata e resa meno solida ed evidente, in tempi più recenti, dagli scossoni di una trasformazione delle istituzioni locali mossa piuttosto dalle pulsioni della inquietudine e della protesta che dal disegno di un più efficiente ordinamento dello Stato.
L’occasione per rafforzare o costruire una trama associativa robusta nella stagione straordinaria nella quale il PNRR ci chiama a realizzare uno sforzo straordinario per trasformare le aspirazioni dei territori in concrete politiche e progetti di investimento è davvero importante.
Proprio questa mattina, il Sindaco di uno di questi piccoli comuni mi ha mandato il suo messaggio, affidandolo alla bottiglia di questo mio intervento perché provasse ad affrontare i marosi della burocrazia, che sin qui avevano assorbito e accolto nell’oblio le sue lettere indirizzate alle più alte cariche dello Stato. Mi è parso un segnale interessante, una di quelle circostanze solo apparentemente casuali a cui bigno proprio prestare attenzione. Segnali deboli ma decisivi!
Il Sindaco tornava a parlarmi dell’esito contro-intuitivo del processo di fusione che ha investito ancora pochi anni fa il suo comune. Ma che ha comportato, come contrappasso, l’esclusione del comune nato dalla fusione da provvedimenti di favore che, in precedenza, riguardavano alcuni dei comuni fusi. È un esito, certo non apprezzabile in termini di equità, che si è riprodotto su vasta scala nelle recente rivisitazione della zonizzazione SNAI.
Penso che, indagando ancora più in profondità, questi esiti indesiderabili siano il frutto, involontario ma non incolpevole, di una visione centrale (dal Governo dello Stato o delle Regioni) che preferisce rivolgersi al tessuto frammentato della organizzazione comunale non guardandolo invece innanzitutto attraverso il filtro della sua struttura associativa, certamente da rafforzare e da migliorare ma innanzitutto da riconoscere come essenziale interlocutore della azione di governo.
Di qui, da questa esigenza di essere (e non solo di fare) squadra, passa la mobilitazione necessaria delle energie migliori del Paese che sono largamente presenti nel suo tessuto insediativo minore, di cui la Montagna è la parte principale!