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Home » Notizie » Paesaggio e Aree Interne

Paesaggio e Aree Interne

12 Agosto 2021

di Fabrizio Frignani, Fotografo e Public historian

Il progetto Snai fa da guida a politiche innovati­ve per provocare uno sviluppo locale che nasce da nuovi modelli partecipati di gestione del go­verno del territorio. Tra gli obiettivi principali ci sono quelli di fermare il declino demografico e l’abbandono del territorio, che negli anni hanno interessato profondamente questa affascinante montagna. Per troppo tempo queste sono state considerate Aree Marginali, in realtà sono luo­ghi iconografici del distacco e del conseguente spaesamento; al tempo stesso oggi rappresen­tano romanticamente il volto di un paesaggio del tempo passato, in cui le rovine, componen­ti fondamentali di una scenografia unica che spesso li rende esclusivi, riportano alla memoria una vita difficile, fatta di sacrifici ed anche ferite profonde con le quali la storia in generale, quel­la delle singole persone e delle comunità, non ha ancora fatto i conti. Luoghi dove si ritorna ogni tanto, nei fine settimana oppure durante l’estate giusto per fare rientrare la calda aria del sole nelle piccole stanze, dove la polvere in so­spensione quando attraversa un raggio di luce sembra danzare. Per poche ore o giorni quelle porzioni di edifici addossati uno all’altro, le aie, i fienili, antiche proprietà, riprendono vita e ci ri­connettono con le nostre storie private. Spesso questi agglomerati di pietre della memoria, in­ in­visibili all’occhio umano e adagiati delicatamen­te ai versanti delle colline sono diventati irrag­giungibili, perché privati dalle strade fagocitate a loro volta dalla rigogliosa e disordinata vege­tazione spontanea. Boschi, prati, edifici, strade vicinali, fontane, lavatoi, segni della presenza umana, diventano testimonianza della conti­nua evoluzione del paesaggio che modificato dall’uomo e poi abbandonato, rioccupato e suc­cessivamente riabbandonato, ritorna anche per un breve periodo ad un suo equilibrio naturale. Per taluni questo è sintomo di degrado, per al­tri è la riconquista del selvaggio, da parte della natura sul costruito dell’uomo. In ogni caso, ci troviamo di fronte alla rappresentazione di un paesaggio in evoluzione, che ha visto, è vedrà sempre nel tempo l’uomo abitarlo adattandolo alle proprie esigenze, necessariamente sempre più sostenibili.

Il paesaggio è un archivio molto complesso, dove, ogni segno (documento) è in relazione con gli altri segni (documenti); per potervi leg­gere le storie ed interpretare i comportamenti degli umani, che hanno abitato quei luoghi e bisogna imparare a metterli in ordine. Un rior­dino che, svolto con metodo scientifico, attra­verso l’educazione dell’imparare a leggere i se­gni, le trame e le connessioni che li mettono in relazione, ci permette di capire che i nostri avi, anche quelli più vicini al tempo presente, non hanno solo lasciato lezioni/esempi di degrado o sfruttamento eccessivo di un territorio. Anzi, sa­pendoli individuare possiamo scoprire sia cosa non dobbiamo più fare, ma anche ciò che co­struito dall’uomo è compatibile o contribuisce in modo sostanzialmente positivo al delicato equilibrio che intercorre tra paesaggio costruito dall’uomo e natura. In queste aree marginali re­siste, non solo, una tenace presenza umana che le rende vive, ma è resiliente un paesaggio che da sempre ci ospita e fa da sfondo alla nostra quotidianità. Il quale attraverso questo proget­to di grande respiro, quello delle Aree interne, e ad un documento d’indirizzo ai più sconosciuto, che è la Convenzione europea del paesaggio, può diventare traino di un nuovo modello di sviluppo, economico e sociale, ma soprattutto educativo, che abbiamo pensato di chiamare semplicemente “modello appennino”. Un pae­saggio che non ci deve vedere solamente attori consumatori, ma anche attori coscienti e consa­pevoli. Partendo dal presupposto che il paesag­gio è il valore aggiunto di questi territori, dove non necessariamente per renderli interessanti bisogna proporre modelli sviluppati per-in altri luoghi, specialmente se non condivisi con gli at­tori locali.

Il cambio di sguardo che stiamo proponendo sul paesaggio delle aree interne è proprio que­sto, “dare valore a quello che c’è”, attribuendo ulteriore continuità all’importante lavoro svolto durante la prima fase della Strategia caratte­rizzata dall’azione denominata “montagna del latte”. Con essa non ci si è soffermati solamente all’analisi della filiera del formaggio, che nella sua specificità rurale è oggi un’attività produt­tiva di grande valore ecosistemico, economico e tecnologico, ma soprattutto si è cercato di individuare un paesaggio denominato “del Par­migiano Reggiano”, che deve contribuire a va­lorizzare quanto nella storia passata e presente, sono contemporaneamente valore, identità dei luoghi e delle comunità nel territorio.

Un paesaggio che è stato costruito nel tempo dall’uomo, “con coscienza”, come scriveva Emilio Sereni in “Storia del Paesaggio Agrario Italiano”.

Allora l’agricoltura era altra cosa, i paesaggi ru­rali erano rappresentazione di povertà, i conta­dini prelevavano dai campi ciò che era neces­sario per sopravvivere. Altri paesaggi rispetto a quelli di oggi, dove lo sviluppo economico della filiera del Parmigiano Reggiano ha crea­to un forte scollamento con il passato. Oggi le aziende agricole sono sempre più specializzate, economicamente più selettive, più grandi e per mantenersi in vita hanno necessità di sostan­ziosi investimenti economici. La tipologia del prodotto, il Parmigiano Reggiano, e, quanto de­finito nel disciplinare per produrlo, hanno fatto si che di fronte ad un grande cambiamento pae­saggistico nella parte strutturale architettonica delle aziende agricole, in campagna abbiamo potuto assistere ad un fenomeno di “tutela con­servativa” della parte coltivata. Quel paesaggio di sguardo che il nostro occhio percepisce im­mediatamente, non risulta ad una prima osser­vazione superficiale molto diverso da quello di 50-60 anni fa. La trama e l’ordito di questa gran­de coperta che avvolge i versanti delle colline, con i campi coltivati che si alternano a boschi, siepi, corsi d’acqua, calanchi e un reticolo infi­nito di carraie, anche se sono oggi “regolati”, di­segnati, da un disciplinare, evidenziano ancora le proprie radici nella cultura popolare che li ha generati. Anche se i campi non hanno più le for­me precise e geometriche di un tempo, allora dettate dai filari delle piantate, e gli agricolto­ri con le grandi macchine operatrici altamente tecnologiche non sfalciano più a mano quelle porzioni di terra, confine tra coltivato e bosco, su alcuni appezzamenti lasciano volontaria­mente i segni residuali di qualche acero capitoz­zato che sorregge ancora antichi tralci di vite, o alberi solitari in mezzo ai campi, a testimonian­za di un forte radicamento a credenze ancestrali non ancora del tutto dissolto.

Per dare valore, per andare oltre, per cambiare lo sguardo rispetto ai tradizionali programmi di sviluppo proposti fino ad oggi, abbiamo iniziato attraverso le scuole di ogni ordine e grado un importante attività di educazione al paesaggio. Ciò non significa che chi non frequenta più la scuola è esentato dall’apprendere questo pro­cesso di cambiamento. Tutti gli altri attori vo­gliamo che siano proprio i giovani a raggiunger­li, essendo questi ancora privi dei tanti, troppi filtri ideologici. Le nuove generazioni rappre­sentano quei cittadini attivi, che riconoscendo il valore del loro paesaggio, lo sapranno tutelare, definendone anche i nuovi parametri di svilup­po sostenibile. Per poterlo così tramandare nel­le migliori condizioni possibili alle generazioni future.

Educare al paesaggio significa entrare in relazio­ne con il territorio nel quale viviamo, quello che apparentemente conosciamo meglio, anche se solo lo strato superficiale è quello a noi familia­re. Imparando a leggerlo possiamo compren­dere ciò che cerchiamo di conoscere, ma che in realtà presenta molti aspetti poco o per niente noti. Non dobbiamo guardare al paesaggio solo per la sua salvaguardia o per migliorarne la qua­lità, ma soprattutto per favorire la crescita glo­bale delle persone.

Quali semplici azioni e sguardi dobbiamo attua­re per imparare a leggerlo?

E’ sufficiente essere curiosi, porsi delle doman­de, cercando le risposte nel nel paesaggio stes­so, nei segni in esso contenuti, vivendolo come esperienza. La lettura dei segni del passato aiu­ta tutti noi a situarsi nel tempo e a collegarsi ad uno spazio del quale a volte viviamo solo picco­le parti. Questa idea di didattica del paesaggio ci permetterà di riallacciare legami con le gene­razioni precedenti, recuperando, o forse, ridan­do vita ad un antico senso di identità dei luoghi.

 

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