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Home » Notizie » L’Infermiere di Comunità: la strada da percorrere per innovare

L’Infermiere di Comunità: la strada da percorrere per innovare

9 Agosto 2021

di Licinia Laura Saccaggi e Monica Giberti, Azienda Usl IRCCS di Reggio Emilia

Il progetto di inserire la figura dell’infermiere di comunità nel territorio montano si colloca in un contesto segnato da profondi cambiamenti della struttura demografica: accelerazione del processo di invecchiamento, aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, aumento della speranza di vita e conseguente aumento dei grandi anziani, unitamente all’im­poverimento delle reti primarie, familiari e ami­cali. Ciò avviene mentre le politiche di cura dei pazienti con patologia cronica (per lo più an­ziani) tendono a mantenere l’individuo presso il proprio domicilio il più a lungo possibile.

I luoghi di interesse prioritario del progetto sono in particolare i comuni del crinale: Ventas­so e Villa Minozzo, dove è molto bassa la densità di popolazione e molto elevata la percentuale di ultra sessantacinquenni.

In un simile contesto l’infermiere di comunità rappresenta una risorsa importante, il profes­sionista sanitario che accompagna e orienta le persone in condizioni di fragilità e cronicità e che, in stretta collaborazione con il Medico di Medicina Generale, assicura la continuità assi­stenziale sia in ambito domiciliare che ambu­latoriale, diventando punto di riferimento per la comunità per quanto attiene l’informazione sanitaria, la promozione alla salute e l’accesso ai servizi. Un professionista che attraverso modelli di prossimità e di proattività anticipa i bisogni di salute della popolazione a cui si rivolge.

Questa figura non è nuova, è stata auspicata dall’OMS Europa nel 1998 per sviluppare mo­delli di salute innovativi attraverso modalità di intervento orientate allo sviluppo della parte­cipazione del cittadino e delle comunità, ma in Italia ha avuto uno sviluppo molto variegato e difficile. Alcune Regioni, come il Friuli, antesi­gnano dell’inserimento di questo ruolo, il Pie­monte, la Liguria e la Toscana hanno inserito questa figura in contesti molto diversi (zone ur­bane ad elevata intensità, periferie cittadine, pa­esi isolati, zone montane) adottando soluzioni organizzative e di intervento specifiche, ma solo nel 2020 finalmente è stato istituito l’infermiere di famiglia e comunità con una legge di Stato. La Legge 77/20 identifica la figura come risor­sa in risposta dell’emergenza pandemica per la presa in carico territoriale delle persone affette da COVID-19. Nella norma non sono contenute indicazioni esplicite sulla formazione necessa­ria, ma si tratta di un incarico di alta professio­nalità, che presuppone un ulteriore formazione complementare successiva alla laurea in grado di abilitare il professionista a svolgere funzioni complesse e specialistiche. Certo già il fatto era stato solennemente anticipato e sancito dal Pat­to per la Salute 2019/2021 secondo il quale nelle cure primarie deve essere prevista l’assistenza infermieristica di famiglia/comunità, identificato come ruolo cruciale nel panorama futuro, per garantire la completa presa in carico sanitaria in­tegrata delle persone, in particolare per i sogget­ti più fragili, affetti da multi-morbilità, ma nulla era ancora stato definito formalmente.

Progettare l’inserimento di questa figura nel no­stro territorio, ben prima di queste norme, è sta­to sicuramente lungimirante e ancora di più lo è stato il fatto di accompagnarlo con un progetto di ricerca, al fine di studiarne la fattibilità, l’im­patto e i risultati derivanti da questo intervento.

Il progetto ha preso avvio nel 2019, quando l’A­zienda USL IRCCS di Reggio Emilia ha seleziona­to tre infermieri che sono stati coinvolti fin da subito nella progettazione. Tutti e tre i professio­nisti hanno svolto una formazione sul campo di una settimana presso una realtà in cui la figura dell’infermiere di famiglia e comunità è già sta­to sperimentato (Torino) proprio in un contesto oro-geografico simile a quello in cui sarebbero andati ad operare e, in seguito, hanno frequen­tato un master di specializzazione in materia.

Con la collaborazione dello staff comunicazione aziendale si è redatto un opuscolo informativo, che è stato distribuito alle famiglie residenti nelle località interessate dai Comuni di Villa Mi­nozzo e Ventasso, a tutti i residenti di età pari o superiore a sessantacinque anni.

L’opuscolo è stato accompagnato da lettera del Sindaco in cui veniva spiegato il progetto e in cui si dava comunicazione che nei mesi succes­sivi gli infermieri avrebbero contattato telefoni­camente le persone individuate tra la popola­zione anziana per concordare un incontro, farsi conoscere e illustrare nel dettaglio il progetto: la maggior parte delle persone contattate ha accolto positivamente il progetto ed ha vissu­to come una opportunità la presenza di questa “nuova figura di infermiere”.

Operativamente l’infermiere di comunità rispon­de al coordinatore del Servizio infermieristico Domiciliare del Distretto di Castelnovo ne’ Mon­ti, con il quale lavora in stretta collaborazione. Gli interventi di infermieristica di comunità si re­alizzano in vari contesti: il domicilio dell’assistito, le strutture sanitarie che insistono sul distretto, i centri di aggregazione. L’infermiere interagisce con i luoghi abituali di vita per intercettare pro‐attivamente situazioni di fragilità.

Elemento centrale per la realizzazione di questo progetto è l’integrazione delle diverse figure professionali che a vario titolo si occupano del­la gestione della popolazione anziana: Medici di Medicina Generale, medici specialisti (ambulato­rio diabetologia, ambulatorio disturbi cognitivi), assistenti sociali dei poli territoriali e dell’area anziani e disabili. Figure alle quali l’infermiere di comunità non si sovrappone e non si sostituisce, ma con le quali interagisce nella realizzazione del percorso di cura e nell’assicurare la continu­ità dell’assistenza.

Nel 2019 il gruppo di lavoro ha elaborato una scheda di prima presa in carico e una scheda di follow-up, sia come strumento operativo, ma anche finalizzati al monitoraggio del progetto. Tra i dati raccolti, rilevati al periodo Gennaio – Settembre 2020, ve ne sono alcuni molto inte­ressanti relativi all’accesso e alle caratteristiche degli utenti coinvolti.

Al momento della rilevazione erano stati con­tattati in totale 578 soggetti, di questi hanno aderito al progetto 352 soggetti di cui 231 nel comune di Ventasso e 121 nel comune di Villa Minozzo. La maggior parte delle persone con­tattate dagli Infermieri di comunità ha accolto positivamente il progetto, solo una piccola per­centuale di utenti si è dichiarata non interessata perché ancora in buona salute, autosufficiente e/o con rete famigliare supportiva o perché, pur residente nei comuni di Ventasso o Villa Minoz­zo, risulta domiciliata altrove (Genova o Milano).

Tra i soggetti che hanno aderito, la maggior per­centuale è riferibile al genere femminile in en­trambi i comuni (60,2 % F e 39,8% M, di cui: Ven­tasso 40,9 % F e 22,9% M; Villa Minozzo 19,3% F e 16,9 % M). Le fasce d’età maggiormente rappresentate crescono progressivamente dai 65 anni per raggiungere quella a maggiore inci­denza tra gli 80 e 89 anni per poi scendere pro­gressivamente fino ai 100 anni.

La popolazione coinvolta ha in generale una scolarità medio-bassa (il 68% ha la licenza elementare, il 27, 6% la licenza media e solo il 3,5 % ha un titolo superiore o laurea) la maggior parte è in pensione, ma ha svolto lavori nel 24,7 % come contadino/a, nel 17% come casalinga, nel 14,7% come operaio, nell’8% in un’attività commerciale e la restante percentuale altri lavori come l’insegnante, o dipendente di ente pubblico o infine o come professionista quale veterinario, farmacista ecc.

Oltre il 50% dei soggetti è sposato o convivente, il 47% è vedovo.

Gli utenti presi in carico abitano in picco­li paesi (9 % in centri con oltre 500 abitanti, il 77% in centri con meno di 500 abitanti il 14% in case isolate) l’85 % vive in casa singola. Le attività abitualmente svolte dai soggetti ar­ruolati, sono la cucina, la pulizia della casa, usci­re per commissioni e socializzare, mentre sono meno praticate l’attività fisica (oltre il 70 % non la pratica mai), il giardinaggio /l’orto (58 % mai), il cucito/ricamo (65% mai). Anche la gestione dei nipoti è un’attività poco presente (oltre il 73 % non lo fa mai), così come il volontariato (più del 95 % non lo pratica).

Dal punto di vista sanitario, si può affermare che la maggior parte dei soggetti è autonoma. L’au­silio maggiormente utilizzato sono gli occhiali (più del 50%), seguito dal bastone (circa 14%), in minore percentuale stampelle, sedia rotelle, deambulatore ed apparecchio acustico.

La situazione riscontrata al momento della pre­sa in carico evidenziava nella maggior parte dei soggetti i seguenti sintomi:

Per intercettare il bisogno di supporto è stata utilizzata, tra le altre, anche una scala per la fra­gilità molto conosciuta a livello internazionale, la SUNFRAIL. La fragilità è molto spesso legata a fattori sociali, non sempre considerati durante la visita medica. Il questionario SUNFRAIL con­tiene item che considerano diversi aspetti, an­che i problemi sociali.

Questi dati, al momento descrittivi perché lo strumento è in fase di validazione, verranno correlati fra loro, per evidenziare eventuali si­gnificatività . I dati quantitativi sulla salute, sui bisogni e le attività svolte, saranno arricchiti an­che da interviste ai cittadini e ai professionisti per conoscere più da vicino la loro percezione e la loro esperienza con l’infermiere di comunità.

Inoltre nei primi mesi del 2020 gli infermieri di comunità hanno collaborato con Assistenti Sociali e le Associazioni di Volontariato presenti sui territori, per organizzare, in modo integra­to, alcune proposte e attività di socializzazione, quali: AFA (attività fisica adattata), in collabora­zione con UISP RE, gruppi di cammino e palestre della memoria. Tali progetti sono stati necessa­riamente sospesi nel 2020 a causa della pande­mia, ma sono attualmente in fase di riprogetta­zione per essere implementati nell’estate 2021. L’integrazione e la collaborazione con gli attori del territorio (volontariato, cooperative di co­munità) è un elemento centrale di questo pro­getto.

Il periodo di “chiusura” e isolamento imposto dai DPCM a seguito della pandemia nei mesi di marzo, aprile e maggio , ha costretto gli In­fermieri di comunità a rivedere l’impostazione del loro lavoro alla luce delle indicazioni utili a scongiurare la diffusione dei contagi, consape­voli, però, che proprio i loro utenti appartengo­no a quella fascia di popolazione maggiormen­te esposta al rischio di contrarre la malattia. Du­rante questi mesi sono state necessariamente sospese la maggior parte delle visite domiciliari, le presenze settimanali negli ambulatori, le atti­vità ricreative e sono state intensificate le tele­fonate rivolte ad utenti e care-giver (in alcune situazioni anche colloqui settimanali). Attraver­so le telefonate si è fatto supporto psicologico ed informativo, sono stati forniti consigli sulla corretta assunzione di farmaci, si sono mante­nuti costanti rapporti con i Medici di Medicina Generale, si è fatto supporto al lutto, laddove necessario. In alcune situazioni selezionate, gli Infermieri di comunità hanno valutato la neces­sità di effettuare comunque accessi al domicilio, per meglio rispondere ai bisogni dell’utente, adottando tutte le misure precauzionali ade­guate per garantire interventi in sicurezza.

Auspichiamo che, al termine di questa emer­genza pandemica, facendo tesoro di quanto imparato anche in questo periodo (es. mag­giore utilizzo della tecnologia, nuove norme), il progetto, possa continuare come è stato pen­sato e l’Infermiere di Comunità possa diven­tare una delle figure centrali di una rete socio-sanitaria integrata, in collaborazione con tutti i professionisti presenti, al fine di creare una vera equipe multi professionale di unico riferi­mento per tutta la popolazione assistita malata ,nel futuro, anche sana. I dati raccolti attraverso lo studio potranno indicarci gli effetti a breve e a lungo termine e quali interventi correttivi o di miglioramento sarà necessario mettere in campo. L’azione fondamentale degli infermieri di famiglia/comunità vuole essere finalizzata al potenziamento e allo sviluppo della rete socio­sanitaria con un’azione che si sviluppa dentro le comunità e con le comunità.

Inoltre nei primi mesi del 2020 gli infermieri di comunità hanno collaborato con Assistenti Sociali e le Associazioni di Volontariato presenti sui territori, per organizzare, in modo integra­to, alcune proposte e attività di socializzazione, quali: AFA (attività fisica adattata), in collabora­zione con UISP RE, gruppi di cammino e palestre della memoria. Tali progetti sono stati necessa­riamente sospesi nel 2020 a causa della pande­mia, ma sono attualmente in fase di riprogetta­zione per essere implementati nell’estate 2021. L’integrazione e la collaborazione con gli attori del territorio (volontariato, cooperative di co­munità) è un elemento centrale di questo pro­getto.

Il periodo di “chiusura” e isolamento imposto dai DPCM a seguito della pandemia nei mesi di marzo, aprile e maggio , ha costretto gli In­fermieri di comunità a rivedere l’impostazione del loro lavoro alla luce delle indicazioni utili a scongiurare la diffusione dei contagi, consape­voli, però, che proprio i loro utenti appartengo­no a quella fascia di popolazione maggiormen­te esposta al rischio di contrarre la malattia. Du­rante questi mesi sono state necessariamente sospese la maggior parte delle visite domiciliari, le presenze settimanali negli ambulatori, le atti­vità ricreative e sono state intensificate le tele­fonate rivolte ad utenti e care-giver (in alcune situazioni anche colloqui settimanali). Attraver­so le telefonate si è fatto supporto psicologico ed informativo, sono stati forniti consigli sulla corretta assunzione di farmaci, si sono mante­nuti costanti rapporti con i Medici di Medicina Generale, si è fatto supporto al lutto, laddove necessario. In alcune situazioni selezionate, gli Infermieri di comunità hanno valutato la neces­sità di effettuare comunque accessi al domicilio, per meglio rispondere ai bisogni dell’utente, adottando tutte le misure precauzionali ade­guate per garantire interventi in sicurezza.

Auspichiamo che, al termine di questa emer­genza pandemica, facendo tesoro di quanto imparato anche in questo periodo (es. mag­giore utilizzo della tecnologia, nuove norme), il progetto, possa continuare come è stato pen­sato e l’Infermiere di Comunità possa diven­tare una delle figure centrali di una rete socio-sanitaria integrata, in collaborazione con tutti i professionisti presenti, al fine di creare una vera equipe multi professionale di unico riferi­mento per tutta la popolazione assistita malata ,nel futuro, anche sana. I dati raccolti attraverso lo studio potranno indicarci gli effetti a breve e a lungo termine e quali interventi correttivi o di miglioramento sarà necessario mettere in campo. L’azione fondamentale degli infermieri di famiglia/comunità vuole essere finalizzata al potenziamento e allo sviluppo della rete socio­sanitaria con un’azione che si sviluppa dentro le comunità e con le comunità.

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