
di Licinia Laura Saccaggi e Monica Giberti, Azienda Usl IRCCS di Reggio Emilia
Il progetto di inserire la figura dell’infermiere di comunità nel territorio montano si colloca in un contesto segnato da profondi cambiamenti della struttura demografica: accelerazione del processo di invecchiamento, aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, aumento della speranza di vita e conseguente aumento dei grandi anziani, unitamente all’impoverimento delle reti primarie, familiari e amicali. Ciò avviene mentre le politiche di cura dei pazienti con patologia cronica (per lo più anziani) tendono a mantenere l’individuo presso il proprio domicilio il più a lungo possibile.
I luoghi di interesse prioritario del progetto sono in particolare i comuni del crinale: Ventasso e Villa Minozzo, dove è molto bassa la densità di popolazione e molto elevata la percentuale di ultra sessantacinquenni.
In un simile contesto l’infermiere di comunità rappresenta una risorsa importante, il professionista sanitario che accompagna e orienta le persone in condizioni di fragilità e cronicità e che, in stretta collaborazione con il Medico di Medicina Generale, assicura la continuità assistenziale sia in ambito domiciliare che ambulatoriale, diventando punto di riferimento per la comunità per quanto attiene l’informazione sanitaria, la promozione alla salute e l’accesso ai servizi. Un professionista che attraverso modelli di prossimità e di proattività anticipa i bisogni di salute della popolazione a cui si rivolge.
Questa figura non è nuova, è stata auspicata dall’OMS Europa nel 1998 per sviluppare modelli di salute innovativi attraverso modalità di intervento orientate allo sviluppo della partecipazione del cittadino e delle comunità, ma in Italia ha avuto uno sviluppo molto variegato e difficile. Alcune Regioni, come il Friuli, antesignano dell’inserimento di questo ruolo, il Piemonte, la Liguria e la Toscana hanno inserito questa figura in contesti molto diversi (zone urbane ad elevata intensità, periferie cittadine, paesi isolati, zone montane) adottando soluzioni organizzative e di intervento specifiche, ma solo nel 2020 finalmente è stato istituito l’infermiere di famiglia e comunità con una legge di Stato. La Legge 77/20 identifica la figura come risorsa in risposta dell’emergenza pandemica per la presa in carico territoriale delle persone affette da COVID-19. Nella norma non sono contenute indicazioni esplicite sulla formazione necessaria, ma si tratta di un incarico di alta professionalità, che presuppone un ulteriore formazione complementare successiva alla laurea in grado di abilitare il professionista a svolgere funzioni complesse e specialistiche. Certo già il fatto era stato solennemente anticipato e sancito dal Patto per la Salute 2019/2021 secondo il quale nelle cure primarie deve essere prevista l’assistenza infermieristica di famiglia/comunità, identificato come ruolo cruciale nel panorama futuro, per garantire la completa presa in carico sanitaria integrata delle persone, in particolare per i soggetti più fragili, affetti da multi-morbilità, ma nulla era ancora stato definito formalmente.
Progettare l’inserimento di questa figura nel nostro territorio, ben prima di queste norme, è stato sicuramente lungimirante e ancora di più lo è stato il fatto di accompagnarlo con un progetto di ricerca, al fine di studiarne la fattibilità, l’impatto e i risultati derivanti da questo intervento.
Il progetto ha preso avvio nel 2019, quando l’Azienda USL IRCCS di Reggio Emilia ha selezionato tre infermieri che sono stati coinvolti fin da subito nella progettazione. Tutti e tre i professionisti hanno svolto una formazione sul campo di una settimana presso una realtà in cui la figura dell’infermiere di famiglia e comunità è già stato sperimentato (Torino) proprio in un contesto oro-geografico simile a quello in cui sarebbero andati ad operare e, in seguito, hanno frequentato un master di specializzazione in materia.
Con la collaborazione dello staff comunicazione aziendale si è redatto un opuscolo informativo, che è stato distribuito alle famiglie residenti nelle località interessate dai Comuni di Villa Minozzo e Ventasso, a tutti i residenti di età pari o superiore a sessantacinque anni.
L’opuscolo è stato accompagnato da lettera del Sindaco in cui veniva spiegato il progetto e in cui si dava comunicazione che nei mesi successivi gli infermieri avrebbero contattato telefonicamente le persone individuate tra la popolazione anziana per concordare un incontro, farsi conoscere e illustrare nel dettaglio il progetto: la maggior parte delle persone contattate ha accolto positivamente il progetto ed ha vissuto come una opportunità la presenza di questa “nuova figura di infermiere”.
Operativamente l’infermiere di comunità risponde al coordinatore del Servizio infermieristico Domiciliare del Distretto di Castelnovo ne’ Monti, con il quale lavora in stretta collaborazione. Gli interventi di infermieristica di comunità si realizzano in vari contesti: il domicilio dell’assistito, le strutture sanitarie che insistono sul distretto, i centri di aggregazione. L’infermiere interagisce con i luoghi abituali di vita per intercettare pro‐attivamente situazioni di fragilità.
Elemento centrale per la realizzazione di questo progetto è l’integrazione delle diverse figure professionali che a vario titolo si occupano della gestione della popolazione anziana: Medici di Medicina Generale, medici specialisti (ambulatorio diabetologia, ambulatorio disturbi cognitivi), assistenti sociali dei poli territoriali e dell’area anziani e disabili. Figure alle quali l’infermiere di comunità non si sovrappone e non si sostituisce, ma con le quali interagisce nella realizzazione del percorso di cura e nell’assicurare la continuità dell’assistenza.
Nel 2019 il gruppo di lavoro ha elaborato una scheda di prima presa in carico e una scheda di follow-up, sia come strumento operativo, ma anche finalizzati al monitoraggio del progetto. Tra i dati raccolti, rilevati al periodo Gennaio – Settembre 2020, ve ne sono alcuni molto interessanti relativi all’accesso e alle caratteristiche degli utenti coinvolti.
Al momento della rilevazione erano stati contattati in totale 578 soggetti, di questi hanno aderito al progetto 352 soggetti di cui 231 nel comune di Ventasso e 121 nel comune di Villa Minozzo. La maggior parte delle persone contattate dagli Infermieri di comunità ha accolto positivamente il progetto, solo una piccola percentuale di utenti si è dichiarata non interessata perché ancora in buona salute, autosufficiente e/o con rete famigliare supportiva o perché, pur residente nei comuni di Ventasso o Villa Minozzo, risulta domiciliata altrove (Genova o Milano).
Tra i soggetti che hanno aderito, la maggior percentuale è riferibile al genere femminile in entrambi i comuni (60,2 % F e 39,8% M, di cui: Ventasso 40,9 % F e 22,9% M; Villa Minozzo 19,3% F e 16,9 % M). Le fasce d’età maggiormente rappresentate crescono progressivamente dai 65 anni per raggiungere quella a maggiore incidenza tra gli 80 e 89 anni per poi scendere progressivamente fino ai 100 anni.
La popolazione coinvolta ha in generale una scolarità medio-bassa (il 68% ha la licenza elementare, il 27, 6% la licenza media e solo il 3,5 % ha un titolo superiore o laurea) la maggior parte è in pensione, ma ha svolto lavori nel 24,7 % come contadino/a, nel 17% come casalinga, nel 14,7% come operaio, nell’8% in un’attività commerciale e la restante percentuale altri lavori come l’insegnante, o dipendente di ente pubblico o infine o come professionista quale veterinario, farmacista ecc.
Oltre il 50% dei soggetti è sposato o convivente, il 47% è vedovo.
Gli utenti presi in carico abitano in piccoli paesi (9 % in centri con oltre 500 abitanti, il 77% in centri con meno di 500 abitanti il 14% in case isolate) l’85 % vive in casa singola. Le attività abitualmente svolte dai soggetti arruolati, sono la cucina, la pulizia della casa, uscire per commissioni e socializzare, mentre sono meno praticate l’attività fisica (oltre il 70 % non la pratica mai), il giardinaggio /l’orto (58 % mai), il cucito/ricamo (65% mai). Anche la gestione dei nipoti è un’attività poco presente (oltre il 73 % non lo fa mai), così come il volontariato (più del 95 % non lo pratica).
Dal punto di vista sanitario, si può affermare che la maggior parte dei soggetti è autonoma. L’ausilio maggiormente utilizzato sono gli occhiali (più del 50%), seguito dal bastone (circa 14%), in minore percentuale stampelle, sedia rotelle, deambulatore ed apparecchio acustico.
La situazione riscontrata al momento della presa in carico evidenziava nella maggior parte dei soggetti i seguenti sintomi:
Per intercettare il bisogno di supporto è stata utilizzata, tra le altre, anche una scala per la fragilità molto conosciuta a livello internazionale, la SUNFRAIL. La fragilità è molto spesso legata a fattori sociali, non sempre considerati durante la visita medica. Il questionario SUNFRAIL contiene item che considerano diversi aspetti, anche i problemi sociali.
Questi dati, al momento descrittivi perché lo strumento è in fase di validazione, verranno correlati fra loro, per evidenziare eventuali significatività . I dati quantitativi sulla salute, sui bisogni e le attività svolte, saranno arricchiti anche da interviste ai cittadini e ai professionisti per conoscere più da vicino la loro percezione e la loro esperienza con l’infermiere di comunità.
Inoltre nei primi mesi del 2020 gli infermieri di comunità hanno collaborato con Assistenti Sociali e le Associazioni di Volontariato presenti sui territori, per organizzare, in modo integrato, alcune proposte e attività di socializzazione, quali: AFA (attività fisica adattata), in collaborazione con UISP RE, gruppi di cammino e palestre della memoria. Tali progetti sono stati necessariamente sospesi nel 2020 a causa della pandemia, ma sono attualmente in fase di riprogettazione per essere implementati nell’estate 2021. L’integrazione e la collaborazione con gli attori del territorio (volontariato, cooperative di comunità) è un elemento centrale di questo progetto.
Il periodo di “chiusura” e isolamento imposto dai DPCM a seguito della pandemia nei mesi di marzo, aprile e maggio , ha costretto gli Infermieri di comunità a rivedere l’impostazione del loro lavoro alla luce delle indicazioni utili a scongiurare la diffusione dei contagi, consapevoli, però, che proprio i loro utenti appartengono a quella fascia di popolazione maggiormente esposta al rischio di contrarre la malattia. Durante questi mesi sono state necessariamente sospese la maggior parte delle visite domiciliari, le presenze settimanali negli ambulatori, le attività ricreative e sono state intensificate le telefonate rivolte ad utenti e care-giver (in alcune situazioni anche colloqui settimanali). Attraverso le telefonate si è fatto supporto psicologico ed informativo, sono stati forniti consigli sulla corretta assunzione di farmaci, si sono mantenuti costanti rapporti con i Medici di Medicina Generale, si è fatto supporto al lutto, laddove necessario. In alcune situazioni selezionate, gli Infermieri di comunità hanno valutato la necessità di effettuare comunque accessi al domicilio, per meglio rispondere ai bisogni dell’utente, adottando tutte le misure precauzionali adeguate per garantire interventi in sicurezza.
Auspichiamo che, al termine di questa emergenza pandemica, facendo tesoro di quanto imparato anche in questo periodo (es. maggiore utilizzo della tecnologia, nuove norme), il progetto, possa continuare come è stato pensato e l’Infermiere di Comunità possa diventare una delle figure centrali di una rete socio-sanitaria integrata, in collaborazione con tutti i professionisti presenti, al fine di creare una vera equipe multi professionale di unico riferimento per tutta la popolazione assistita malata ,nel futuro, anche sana. I dati raccolti attraverso lo studio potranno indicarci gli effetti a breve e a lungo termine e quali interventi correttivi o di miglioramento sarà necessario mettere in campo. L’azione fondamentale degli infermieri di famiglia/comunità vuole essere finalizzata al potenziamento e allo sviluppo della rete sociosanitaria con un’azione che si sviluppa dentro le comunità e con le comunità.
Inoltre nei primi mesi del 2020 gli infermieri di comunità hanno collaborato con Assistenti Sociali e le Associazioni di Volontariato presenti sui territori, per organizzare, in modo integrato, alcune proposte e attività di socializzazione, quali: AFA (attività fisica adattata), in collaborazione con UISP RE, gruppi di cammino e palestre della memoria. Tali progetti sono stati necessariamente sospesi nel 2020 a causa della pandemia, ma sono attualmente in fase di riprogettazione per essere implementati nell’estate 2021. L’integrazione e la collaborazione con gli attori del territorio (volontariato, cooperative di comunità) è un elemento centrale di questo progetto.
Il periodo di “chiusura” e isolamento imposto dai DPCM a seguito della pandemia nei mesi di marzo, aprile e maggio , ha costretto gli Infermieri di comunità a rivedere l’impostazione del loro lavoro alla luce delle indicazioni utili a scongiurare la diffusione dei contagi, consapevoli, però, che proprio i loro utenti appartengono a quella fascia di popolazione maggiormente esposta al rischio di contrarre la malattia. Durante questi mesi sono state necessariamente sospese la maggior parte delle visite domiciliari, le presenze settimanali negli ambulatori, le attività ricreative e sono state intensificate le telefonate rivolte ad utenti e care-giver (in alcune situazioni anche colloqui settimanali). Attraverso le telefonate si è fatto supporto psicologico ed informativo, sono stati forniti consigli sulla corretta assunzione di farmaci, si sono mantenuti costanti rapporti con i Medici di Medicina Generale, si è fatto supporto al lutto, laddove necessario. In alcune situazioni selezionate, gli Infermieri di comunità hanno valutato la necessità di effettuare comunque accessi al domicilio, per meglio rispondere ai bisogni dell’utente, adottando tutte le misure precauzionali adeguate per garantire interventi in sicurezza.
Auspichiamo che, al termine di questa emergenza pandemica, facendo tesoro di quanto imparato anche in questo periodo (es. maggiore utilizzo della tecnologia, nuove norme), il progetto, possa continuare come è stato pensato e l’Infermiere di Comunità possa diventare una delle figure centrali di una rete socio-sanitaria integrata, in collaborazione con tutti i professionisti presenti, al fine di creare una vera equipe multi professionale di unico riferimento per tutta la popolazione assistita malata ,nel futuro, anche sana. I dati raccolti attraverso lo studio potranno indicarci gli effetti a breve e a lungo termine e quali interventi correttivi o di miglioramento sarà necessario mettere in campo. L’azione fondamentale degli infermieri di famiglia/comunità vuole essere finalizzata al potenziamento e allo sviluppo della rete sociosanitaria con un’azione che si sviluppa dentro le comunità e con le comunità.