
Mi chiamo Luca Valcavi, nato a Reggio Emilia, ho conseguito la laurea in scienze infermieristiche nel 2010. Da quando sono infermiere ho sempre lavorato nei servizi territoriali di Reggio Emilia e provincia. A Ottobre 2018 a seguito del progetto “Infermieri di comunità” della Strategia Nazionale Aree Interne “La montagna del latte” lavoro nei servizi territoriali come l’infermiere di famiglia e comunità nel comune di Villa Minozzo.
Quali sono state le motivazioni che ti hanno fatto intraprendere la strada dell’infermiere di comunità?
Dal punto di vista sanitario, l’obiettivo è il passaggio dalla medicina d’attesa alla medicina d’iniziativa, in cui si effettua prevenzione ed educazione sanitaria. In questo ambito la figura dedicata è l’infermiere di famiglia e comunità. Inoltre questa figura potrà essere d’aiuto non solo al singolo cittadino ma ad una comunità intera. Per me è molto motivante poter far parte di questo cambiamento.
Quali obiettivi ti sei fissato?
Gli obiettivi sono rivolti alla presa in carico dei cittadini, per la promozione, il mantenimento e il recupero della salute in tutte le fasi della vita.
L’infermieristica di famiglia e di comunità considera la salute un diritto fondamentale dell’uomo e aderisce alla visione della salute quale processo dinamico bio-psico-sociale e spirituale e della la salute “possibile” rispetto alle condizioni della persona e ai desideri individuali degli assistiti.
L’infermieristica di famiglia e di Comunità riconosce l’impatto sulla salute dei determinanti sociali e l’importanza delle azioni politiche, organizzative, culturali e professionali per ridurre gli effetti negativi delle diseguaglianze sulle condizioni di salute e opera nel rispetto di tale visione in ottica preventiva e assistenziale. Nel costruire i rapporti con i cittadini e la popolazione, l’IFEC può diventare il punto di riferimento per la comunità, essendo il collante di tutti i servizi presenti sul territorio.
Com’è stata la tua esperienza in questo anno e mezzo?
E’ stato un percorso non privo di ostacoli. Inizialmente la difficoltà è stato l’inserimento della figura IFEC all’interno dei servizi territoriali. Come tutte le figure nuove è necessario un periodo di adattamento e conoscenza tra i servizi. Successivamente si è presentato il Covid19 che ha limitato in maniera importante il raggio d’azione delle attività costruite per la comunità. Ma in pochissimo tempo si è constatata l’efficacia e l’importanza del ruolo di questa figura, poiché nel corso di questa pandemia l’isolamento e la solitudine sono incrementati. Nonostante la pandemia, l’attività dell’IFEC è proseguita e ha come obiettivo tenere agganciati ai servizi gli utenti, con controlli periodici a domicilio, ambulatoriali o telefonici.
Quali miglioramenti e cambiamenti ti aspetti di vedere in futuro?
Anche se da poco presente sul territorio, abbiamo potuto constatare l’efficacia dell’iFEC. Abbiamo ricevuto feedback positivi dagli stessi utenti presi in carico, inoltre si è creata grande collaborazione con gli altri servizi della rete. Di conseguenza in futuro vedrei di buon grado l’implementazione di questa figura sia a livello numerico che in altre zone della provincia.
Ad oggi si è arrivati ad una buona integrazione con le altre figure di cure primarie, ma stiamo cercando di avere collaborazioni anche con i servizi ospedalieri. L’obiettivo è quello di avere sempre più continuità assistenziale tra i vari cittadini dei nostri comuni.
Infine quando la pandemia sarà terminata, cercheremo di ripristinare alcune importanti attività pensate in collaborazione con altri servizi territoriali e ospedalieri: attività motoria e di socializzazione. Queste hanno come obiettivi la riduzione della sedentarietà, la riduzione dell’isolamento sociale e l’educazione terapeutica e sanitaria e sono estremamente importanti per il miglioramento e il mantenimento della salute psico-fisica della popolazione anziana.