
Arianna Pignagnoli ha conseguito il 18 dicembre la laurea magistrale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e le Risorse presso l’Università degli Studi di Parma. Il progetto di tesi, il cui titolo è “Valutazione ambientale ed economica della filiera di Parmigiano Reggiano di montagna”, analizza la sostenibilità della produzione di Parmigiano Reggiano di montagna da un punto di vista ambientale, economico e sociale.
Ho deciso di sviluppare l’analisi in ambito montano in quanto questi sistemi di produzione presentano caratteristiche peculiari, che li differenziano dalla produzione di pianura. Le piccole dimensioni, la bassa densità di animali per ettaro e le difficoltà nelle pratiche agricole a causa delle condizioni climatiche e pedologiche rendono unica questa produzione. La minore produttività ed efficienza sommata alle difficili condizioni agricole locali hanno portato ad una fase di progressiva deruralizzazione e spopolamento con conseguenze sul piano sociale, economico e di sicurezza dei terreni.
Tuttavia, l’attività agricola in montagna deve essere mantenuta in quanto offre numerosi servizi ecosistemici, come la conservazione della biodiversità e la riduzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, oltre a fornire prodotti agroalimentari di qualità, strettamente legati con il territorio, che possono rappresentare fonte di attrazione per il turismo e strumento di rilancio dell’economia locale.
Con l’obiettivo generale di promozione dei prodotti e sostentamento dell’economia delle zone montane è stato istituito nel 2014 l’indicazione Europea di “Prodotto di montagna”. Successivamente è stato avviato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano un progetto specifico dal titolo “Prodotto di Montagna – Progetto Qualità”. Per ottenere il marchio di “Prodotto di montagna” viene richiesto, oltre alla localizzazione degli allevamenti, dei caseifici e dei magazzini di stagionatura all’interno delle aree montane, che il 60% del foraggio destinato all’alimentazione delle bovine da latte provenga dalle zone di montagna del comprensorio. L’istituzione dell’indicazione di “Prodotto di montagna” crea un legame indissolubile tra il formaggio Parmigiano Reggiano e la montagna, luogo dove si sviluppa l’intera filiera produttiva; inoltre, viene garantita una qualità aggiuntiva rispetto al prodotto di pianura attraverso una valutazione chimica e sensoriale effettuata al ventiquattresimo mese di stagionatura.
Il presente progetto di tesi si inserisce perciò in questo contesto di valorizzazione e mantenimento della produzione di Parmigiano Reggiano in montagna; in particolare è stata analizzata la realtà della Latteria San Giorgio situata a Cortogno di Casina nell’Appennino Reggiano, insieme alle tre aziende agricole più rappresentative, Santa Lucia, Il Ponte e La strada, che conferiscono più dell’80% del latte totale lavorato dalla latteria.
Il sistema analizzato presenta alcune caratteristiche comuni a tutte le realtà dell’Appennino, come la produzione di latte convenzionale ed una coltivazione dei terreni biologica. Tuttavia, sono presenti alcune peculiarità: grazie alla collaborazione con il CRPA (Centro di Ricerca per la Produzione Animale) si è aumentata l’età e il rendimento dei medicai presenti, garantendo la produzione di foraggio esclusivamente da questi terreni che hanno un’età media di 11 anni, inoltre si è introdotta l’erba fresca nella razione animale del periodo estivo/autunnale.
L’analisi ambientale del sistema produttivo della Latteria San Giorgio è stata effettuata utilizzando l’approccio dell’analisi del ciclo di vita (LCA) o “Life Cycle Assessment”, che prevede la compilazione e valutazione attraverso tutto il ciclo di vita dei flussi in entrata e in uscita, nonché i potenziali impatti ambientali, di un sistema di prodotto. Il sistema di produzione analizzato è stato suddiviso nella fase di coltivazione, fase di stalla e fase di caseificio e per ognuno di questi processi sono stati considerati i principali input per la produzione rispettivamente di una tonnellata di foraggio, un capo di bestiame ed 1 kg di formaggio Parmigiano Reggiano di montagna stagionato a 24 mesi.
Dall’analisi LCA si è così ottenuta una valutazione del contributo al cambiamento climatico e al fenomeno dell’eutrofizzazione stimato su unità di formaggio prodotto e su unità di latte prodotto.
La valutazione ambientale è stata integrata con una stima statistica della biodiversità dei terreni delle tre aziende agricole, analisi effettuata applicando i valori dell’indice di Qualità Biologica dei Suoli basato sulla comunità di microartropodi edafici (QBS-ar), stimati per le diverse tipologie di uso del suolo (seminativi, prati e vigneti) in Emilia-Romagna.
I risultati dell’analisi ambientale riportano un minor contributo al cambiamento climatico e al fenomeno dell’eutrofizzazione rispetto ai sistemi sia di montagna sia di pianura. Questo risultato è ottenuto principalmente grazie alla presenza di più del 90% delle superfici agricole delle aziende Santa Lucia, Il Ponte e La Strada destinato a medicai gestiti come prati stabili per la produzione di foraggio.
I medicai “invecchiati” del sistema San Giorgio non vengono lavorati da in media undici anni, ciò garantisce una riduzione delle lavorazioni agricole e delle emissioni di gas serra attribuite alla fase di coltivazione. Inoltre, la presenza di una coltura permanente come l’erba medica garantisce una maggiore copertura dei terreni riducendo il fenomeno di lisciviazione dei nutrienti nelle acque di falda e limitando così il contributo all’eutrofizzazione. Altri fattori che incidono sulla diminuzione dell’impatto ambientale sono la coltivazione biologica dei terreni e l’utilizzo di erba fresca nella razione animale. Il primo, non prevedendo l’utilizzo di fertilizzanti, contribuisce a ridurre ulteriormente l’eutrofizzazione del sistema analizzato, mentre il secondo, essendo una fibra più digeribile, riduce le emissioni di metano dovute alla fermentazione enterica del bestiame.
La gestione del suolo delle aziende agricole esaminate risulta un fattore determinante anche nell’analisi della biodiversità: un terreno destinato a seminativi che prevede pratiche agricole come l’aratura, l’intensificazione delle colture e l’utilizzo di fertilizzanti chimici presenta una qualità e biodiversità inferiore rispetto ai prati, dove questo non avviene. Di conseguenza le aziende Santa Lucia, Il Ponte e La Strada presentano dei livelli di biodiversità dei terreni più elevati rispetto alla provincia di Reggio Emilia e all’intera regione Emilia-Romagna, in quanto quasi la totalità terreni aziendali è destinata a medicai invecchiati gestiti come prati stabili. Inoltre un terreno con livelli di fertilità maggiore e con un elevato contenuto di carbonio organico risulta meno soggetto a fenomeni di dissesto idrogeologico, problematica molto presente nell’Appennino.
Infine, l’analisi economica della Latteria San Giorgio è stata effettuata utilizzando il metodo Local Multiplier 3 (LM3) che ha permesso di misurare il contributo della latteria allo sviluppo economico dell’Appennino Reggiano. In particolare, dal budget e dalle spese della latteria e dalle spese delle aziende agricole all’interno dell’area locale (Appennino Reggiano) è stato possibile ottenere un indicatore equivalente a 2.48, il quale riporta il flusso monetario all’interno dell’area generato da un euro del budget iniziale della Latteria San Giorgio. Inoltre considerando che l’indice in questione può andare da un valore minimo di uno ad un valore massimo di tre si può concludere che la Latteria San Giorgio contribuisce realmente allo sviluppo economico locale. Il sistema genera un flusso monetario nella zona dell’Appennino Reggiano che risulta più che raddoppiato, andando così ad attivare altre realtà economiche, aumentando l’occupazione e migliorando i livelli di benessere della popolazione.
Il presente progetto di tesi ha dimostrato che il sistema di produzione di Parmigiano Reggiano di montagna della Latteria San Giorgio rappresenta un modello di sviluppo sostenibile, in cui attraverso la produzione agroalimentare si raggiungono diversi benefici sul piano ambientale, economico e sociale e può quindi costituire un esempio di buone pratiche agricole per altre aziende.