
La montagna reggiana negli anni ’20 del XXI secolo. Le sfide e le poste in gioco
In un quadro programmatico ricco di opportunità ma non è scevro di rischi, quali sono le sfide che dobbiamo cogliere con la nostra azione?
- a) la sfida principale è sempre quella di interrompere e invertire il declino demografico del territorio montano. Una tendenza che non siamo riusciti mai a bloccare davvero, neppure quando il flusso in ingresso di immigrati stranieri aveva cambiato il segno dei saldi e sembrava così aver invertito la tendenza, mentre copriva l’evidenza di un flusso di popolazione “locale” ancora in uscita. Ora abbiamo una consapevolezza più convinta e più diffusa che per trattenere dobbiamo saper attrarre, che se non siamo desiderabili per chi non ha in questa montagna le sue radici faremo sempre molta fatica ad esserlo anche per chi qui è nato.
- b) La seconda sfida è rappresentata dalla attenzione generale che la comunità internazionale rivolge ai temi della sostenibilità, spinta dai giovani dei Friday For Future a prestare una attenzione meno di circostanza agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Developement Goals, SDGs) delle Nazioni Unite. Ne fa fede la dichiarazione dei 250 CEO delle multinazionali americane che li antepongono agli obiettivi aziendali di profitto, lo testimonia in ambiti più vicini a noi il successo delle iniziative che proliferano attorno ad ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) per tradurre concretamente in opere una visione del mondo in cui le Aree Interne hanno sicuramente una parte da giocare.
- c) La terza sfida si colloca su un piano più propriamente soggettivo ed è quella che ci viene proposta da un panorama istituzionale più incerto e fragile del passato che ci impone di essere maggiormente protagonisti: protagonisti di un rapporto più autorevole con le istituzioni regionali, costruttori di una inedita relazione con la Città capoluogo, promotori di un patto più solido ed esteso con gli attori economici della montagna; protagonisti di una iniziativa che vuol far riconoscere ed apprezzare il nostro territorio, che esprime valori evidenti, l’Unione dei Comuni come attore istituzionale che sa re-inventare e strutturare il suo ruolo, una più estesa coalizione di interessi che si organizza e vuole farsi sentire. Interlocutori, anche, di istituzioni nazionali e internazionali che guardano con interesse al percorso intrapreso.
Abbiamo conquistato sul campo credibilità e prestigio presso istituzioni regionali e nazionali e abbiamo costruito un significativo capitale reputazionale che occorre conservare con determinazione e investire con lungimiranza.
L’investimento sul capitale umano, chiave strategica dell’attrattività
Su quali linee di intervento possiamo puntare per rispondere ai bisogni che avvertiamo e rispondere con efficacia alle sfide che si prospettano?
La prima linea di azione sulla quale focalizzare la nostra attenzione è sicuramente l’investimento sul capitale umano.
A questo tema abbiamo già voluto indirizzare una parte rilevante dell’investimento operato con il programma “La Montagna del Latte”: il 48,9% delle risorse della Legge di Stabilità, 1,8 milioni di euro sono stati rivolti ai temi dell’educazione mentre l’investimento complessivo operato sul fronte formativo/educativo mettendo in campo anche le risorse del FSE e del FEASR, sfiora i 3 milioni di euro.
C’è ancora un salto di qualità da produrre. L’attrattività, che come si è detto, è una condizione essenziale per gli obiettivi di equilibrio demografico del nostro sistema locale, è intanto l’attrattività degli istituti secondari superiori di Castelnovo nei Monti. È una attrattività che si basa sulla buona reputazione delle scuole, sulla ampiezza della gamma di indirizzi formativi offerti, su un buon rapporto delle scuole con il mondo della produzione e dell’impresa. Questa attrattività dovrebbe essere ulteriormente rafforzata dallo sviluppo dell’approccio laboratoriale così fortemente sostenuto dalla Strategia.
Non possiamo però dimenticare che le condizioni logistiche con le quali il servizio viene offerto in montagna sono decisamente impegnative per l’utenza, in termini di tempi di spostamenti richiesti e quindi di qualità della vita dei ragazzi. Ripensare i calendari scolastici delle scuole secondarie superiori per concentrane l’offerta in un arco settimanale più ristretto a fronte della dilatazione dell’arco giornaliero impegnato è sicuramente un orizzonte di cui esplorare con grande attenzione la desiderabilità, prima e le condizioni di fattibilità poi.
La rivoluzione del calendario scolastico naturalmente presuppone una qualche forma di residenzialità e dunque richiede di introdurre una certa capacità di accoglienza, almeno per le provenienze più lontane.
Una rivoluzione organizzativa che presuppone una ancor più stretta integrazione tra programmazione scolastica e programmazione della mobilità chiamando in causa, come già l’occasione della SNAI ha consentito di fare, un rapporto con e tra le Agenzie per la mobilità che valica i confini provinciali.
La residenzialità, a sua volta, può diventare essa stessa un fattore ulteriore di attrattività, rivolgendosi anche a fasce di utenza diverse da quella degli studenti delle scuole secondarie superiori; per sostenere un prolungamento del ciclo formativo con la programmazione nel capoluogo montano di corsi post secondari e terziari, anche nelle forme delle summer school o dei corsi brevi.
Questa prospettiva ci dovrebbe far prendere in considerazione la possibilità di aprire una specifica riflessione sulla organizzazione degli spazi in una piccola città di montagna che si apre a diventare una città degli studi (e degli studenti) organizzando in modo nuovo edifici scolastici, impiantistica sportiva, spazio pubblico e funzioni culturali.
Una riflessione da aprire magari nell’occasione del nuovo Piano Urbanistico Generale (PUG) di cui il comune di Castelnovo ne’ Monti dovrà presto dotarsi ma, forse, da affrontare con una specifica attenzione a far incontrare pianificazione urbanistica e programmazione degli investimenti pubblici.
Un’interpretazione così ambiziosa del potenziamento del sistema formativo della montagna impone di leggere questo progetto nella chiave della specializzazione e della distintività come matrice della attrattività. Dobbiamo rivolgere l’offerta ad un contesto territoriale di medio lungo raggio nella prospettiva di una evoluzione più competitiva del nostro sistema universitario e non invece di una deriva della sua natura che la diffusione delle sedi renda semplicemente più “domestica”.
In questa chiave, di specializzazione competitiva e non di mero decentramento, deve essere letta l’ipotesi di ospitare funzioni di ricerca, la presenza di laboratori, in un progetto di partecipazione alla rete regionale dell’Alta tecnologia.
L’investimento sulle funzioni formative superiori e sulla ricerca intercetta l’iniziativa regionale che con il progetto ALFONSA che proprio ora muove i suoi primi passi ponendosi come interlocutore significativo anche nei confronti dei progetti con cui in altri contesti regionali le Accademie hanno già rivolto il proprio sguardo alle Montagne.
Attenzione che ha trovato riscontro in un Accordo di Programma siglato con il MIUR che ha coinvolto Università Statale di Milano, Università del Piemonte Orientale e Università della Tuscia. Accordo di Programma di cui potrebbe essere ora matura una nuova edizione.
Ancora, ci dobbiamo preoccupare per tempo che la formulazione del Programma Operativo per il FSE+ contenga le aperture necessarie a consentire le azioni di sensibilizzazione e di promozione della Strategia e della sua visione presso l’intera popolazione della nostra montagna, come abbiamo tentato – e non ci è riuscito di fare – in questa stagione.
La Montagna del Latte e il suo progetto di filiera: repetita iuvant
Nella riconsiderazione della strategia per l’arco dei prossimi dieci anni ad un livello di priorità analogo a quello del capitale umano e dei servizi necessari a valorizzarlo, si colloca l’opportunità di insistere sulla filiera lattiero casearia del Parmigiano Reggiano per rafforzarne un più forte e immediato orientamento al mercato dei consumi, nelle diverse forme che questo può assumere, dall’e-commerce alla attrattività del turismo rurale, in una prospettiva che questa prima stagione di investimenti del progetto di filiera dovrebbe e potrebbe già consentire di esplorare. La più rilevante questione in gioco, sotto il profilo strutturale, è probabilmente quella di potenziare la capacità della montagna di ospitare il suo formaggio nella fase di stagionatura, già oggi deficitaria per la gestione “ordinaria” dei primi dodici mesi, e che ancor più lo sarà, sollecitata dalla auspicata crescita della quota di produzione marchiata come “Prodotto di Montagna” che richiede di completare nel territorio montano l’intero ciclo dei 24 mesi.
Questa prospettiva può assumere configurazioni diverse nella sua realizzazione: una concentrazione estrema con un grande magazzino unico della montagna, (che da tempo cova nella discussione senza riuscire però a consolidarsi in un progetto operativo) ovvero più impianti, diversamente dislocati sul territorio ed espressione di strategie aziendali diversificate che richiedono una governance meno universale (e forse anche meno complessa e conflittuale) di quella che sarebbe richiesta da un investimento unico?
È il tempo, ragionevolmente, di affidare la scelta tra queste alternative ad uno studio di fattibilità promosso e sviluppato dalla Filiera e dalle sue organizzazioni cooperative, riconosciuto e sostenuto dal Consorzio del Parmigiano Reggiano.
Potrebbe essere la condizione necessaria per prepararsi per tempo ad individuare e prenotare, nel nuovo PSR, le risorse necessarie per sostenere ulteriormente una strategia di sviluppo con la quale la montagna vuole risalire di posizioni nella filiera puntando a conquistare nuovi segmenti di valore aggiunto (e di occupazione).La realizzazione di uno o più impianti per la stagionatura che vuol dire anche investimenti in strutture e fabbricati, porta l’attenzione della filiera su un ulteriore aspetto che ha cominciato ad acquistare visibilità e credito a partire dal successo del Progetto di Filiera e di una intera Strategia d’Area che ha fatto del Parmigiano Reggiano il suo emblema.
C’è poi il tema di potenziare le azioni di ricerca, materiale e immateriale, che hanno generato buone iniziative all’interno del progetto di filiera e anche all’esterno del suo perimetro, nel Progetto LIFE del Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale, ad esempio.
Il Manifesto del Paesaggio del Parmigiano Reggiano di Montagna
Il tema del Parmigiano Reggiano Paesaggio è anche quello del suo Paesaggio che è stato proposto con un certo successo di attenzione dalla l’iniziativa per l’avvio di una “Scuola del Paesaggio del Parmigiano Reggiano”, intrapresa da enti locali, operatori della filiera e istituzioni culturali dal 2018. Iniziativa che si sta sviluppando conoscendo un certo successo nei diversi mondi (della produzione, della formazione e della cultura, delle istituzioni) in cui si è sviluppato e che traguarda ormai la condivisione di un proprio Manifesto. Questa iniziativa segna la strada di una importante fronte di investimenti volti a produrre un valore intangibile che può però avere importanti ritorni economici, come ci raccontano le storie di successo delle terre del vino. – in un futuro più o meno lontano – di sostenere esplicitamente, preoccupandosi però anche a breve di costruire con la propria azione promozionale il terreno di coltura entro il quale una nuova e qualificata immagine della Montagna del Latte può prendere progressivamente una forma più definita e si iscrive stabilmente nella consapevolezza sociale.
Una immagine nuova da realizzare nel tempo e da rendere riconoscibile nei caratteri architettonici e paesaggistici degli edifici destinati alle diverse funzioni produttive della filiera con investimenti futuri di aziende zootecniche sempre più solide (non solo più grandi) e radicate nel contesto montano, e intanto, in forma paradigmatica ed emblematica, nei nuovi magazzini di stagionatura di cui l’esigenza potrebbe già essere matura.
Se questa operazione di innesco di un nuovo paradigma culturale che potrebbe apparire a qualcuno troppo sofisticata e finanche velleitaria avrà successo, potremo lavorare ad una sistematica riforma delle architetture produttive dell’Appennino rurale, che registrano ora l’influenza di morfologie e modelli costruttivi di stampo industrialista, lontani dall’esprimere valori che non siano quelli meramente funzionali.
Modelli ancor più lontani dal rispecchiare un concetto e una visione della qualità che dovrebbe invece contraddistinguere quello che è – e che sempre più in questi termini si potrà affermare – la più importante produzione agro-alimentare che porta il marchio di Prodotto a Denominazione di Origine (DOP), dunque prodotto tipico e di qualità, del mondo.
Modelli attorno ai quali è forse possibile portare approcci culturali sin qui elitari a condividere pensiero e azione con le culture “popolari” degli operatori della filiera, casari, contadini, commercianti. E non sarebbe cosa da poco!
Il progetto culturale, nell’occasione del FAI
In questo contesto tematico di rinnovata attenzione al Paesaggio e al valore culturale che questo esprime, si inserisce il possibile rapporto con il progetto Alpe del FAI “L’Italia sopra i 1000 metri” e con il suo dichiarato interesse di incontrare la Strategia Nazionale per le Aree Interne.
Il Progetto Alpe, progetto strategico a lungo termine, è un progetto “di sistema” con cui il FAI, sulla scorta di un “analogo” progetto del National Trust per le coste inglesi, vuole affermare una nuova dimensione della presenza della Fondazione che si propone di essere riconoscibile su tutto il territorio nazionale.
L’intento è quello di fare leva sulle aree interne di montagna, estese lungo la intera dorsale del Paese, isole comprese, per contribuire allo sviluppo di territori e comunità attraverso il sostegno a progetti locali.
L’interesse del FAI potrebbe trovare proprio nella nostra montagna il suo punto di avvio come è emerso in un recentissimo incontro con la Presidenza FAI a Milano da cui dovrebbe derivare una visita sul nostro territorio dei vertici nazionali del FAI entro Natale.
Se il Progetto Alpe incontrerà la Montagna del Latte, in questo nostro territorio potrà trovare uno risposta assai significativa ai propri intenti e alle proprie aspirazioni.
Troverà risposta innanzitutto nel legame tra luoghi e comunità che la Strategia ha affermato e a cui ha dato gambe individuando un vettore – il Parmigiano Reggiano di Montagna – che è assieme l’emblema di una identità radicata e operante, e l’oggetto dei desideri di una geografia sentimentale che si propone con una straordinaria estensione globale. Un nuovo campo di relazioni e di legami da ispessire e approfondire nei loro contenuti, latu sensu culturali.
Occorre pensare alla Montagna del Latte come ad una rete materiale e immateriale, di significati, prima ancora che di sentieri. Una rete che connette i luoghi tra loro e con le espressioni comunitarie di diversa natura che questa rete incontra e che a questa rete danno vigore.
Questa nuova concettualizzazione richiede anche di esplorare nuove modalità di costruzione e proposta del prodotto culturale e a questo il FAI può portare competenze, esperienza, visibilità. Consentendoci di togliere la discussione che periodicamente si ripropone sulla collocazione del Museo della Civiltà Contadina del Motti dall’angolo angusto e un po’ polveroso in cui si è confinata.
La novità dei servizi ecosistemici
Nella Agenda di una rinnovata Montagna del Latte 2.0 alla cui stesura dobbiamo lavorare da subito, non potremo trascurare il tema del riconoscimento e della valorizzazione dei servizi eco-sistemici, che sin qui è stato soltanto sfiorato dalla Strategia, anche a livello nazionale.
Un tema che però diventa centrale nella stagione del Green New Deal che le istituzioni europee assicurano di voler delineare per l’orizzonte del 2030.
In questo orizzonte di significato si collocano tanto l’iniziativa sul Paesaggio Rurale del Parmigiano Reggiano, di cui si è fatto cenno, quanto l’esigenza di colmare una fragilità evidente della prima edizione della nostra Strategia che riguarda la filiera bosco, legna, energia.
Una fragilità che si è manifestata nelle tensioni conflitti innescate dai progetti di centraline a cippato predisposti da alcuni comuni – ai margini della Strategia e senza un suo esplicito coinvolgimento – registrando conflitti sociali e arretramenti rispetto ai progetti messi in campo.
Il tema forestale è oggi centrale, non solo sul fronte delle energie rinnovabili ma ancor più in termini di sequestro di carbonio ed è da riconsiderare alla luce dei nuovi progetti di sostenibilità con i quali Stefano Mancuso, Carlin Petrini e il Vescovo di Rieti Pompili ci chiamano a piantare 60 milioni di alberi nuovi in un orizzonte temporale imprecisato ma sicuramente breve.
Ma questo tema è – e deve essere – anche quello della gestione delle aree forestali esistenti oltre la prospettiva di un inselvatichimento di formazioni così lontane dal loro climax, che non possiamo interpretare come una positiva rinaturalizzazione.
Anche sul fronte delle risorse idriche, della loro consistenza quantitativa e qualitativa, si presenta uno scenario di grande rilevanza in una logica di riconoscimento, anche monetario, dei servizi ecosistemici esercitati nel e dal territorio montano.
È sempre più necessaria e matura una riflessione (e una linea di azione conseguente) che ci deve consentire di portare le azioni di conservazione e manutenzione del territorio fuori da una logica di intervento di emergenza o di mera compensazione. Anche per accompagnare efficacemente ogni nuovo intervento (e qualcuno ce ne è in programma!) che modificherebbe gli equilibri di un sistema così fortemente inciso dalle dinamiche del cambiamento climatico.