
Cittadino montanaro, economista, mi sono occupato per la prima volta della montagna Reggiana nel 1978 quando a poco più di vent’anni ho seguito Osvaldo Piacentini e lavorato con lui alla formazione del primo Piano di Sviluppo Economico e Sociale della Comunità Montana dell’Appennino Reggiano.
Di Montagna ho continuato a occuparmi lavorando al Progetto Appennino della Regione Emilia Romagna, al Progetto Appennino Parco d’Europa (APE) del Ministero dell’Ambiente, all’Atlante Nazionale del Territorio Rurale per il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Da ultimo alla Strategia Nazionale per le Aree Interne. Sempre in CAIRE, prima con Osvaldo e poi con Ugo Baldini. Con lui nel 2014 proponemmo ad Enrico Bini – che avevamo conosciuto e frequentato da Presidente della Camera di Commercio – di partecipare a questa avventura della SNAI che allora muoveva i primi passi, trascinata da Fabrizio Barca, diventato Ministro per caso.
Enrico ci ha creduto; non quanto siano state le nostre parole a convincerlo; so che ha preso un rischio non piccolo e ha fatto un investimento in fiducia altrettanto importante. Il quadro non era allora molto chiaro, la Regione sembrava riluttante a dare credito ad una iniziativa del Governo che a Bologna sembrava “disegnata per le Regioni del Sud”.
Ma la decisione era presa. Sostenuti dalla CCIAA che ha coperto il 50% della spesa, abbiamo condotto gli studi preliminari e presentato la candidatura. Siamo riusciti a farla riconoscere ed approvare, la prima delle quattro aree pilota della Regione Emilia Romagna.
Poi un lungo impegno. Giornate passate a incontrare le persone che della Strategia dovevano essere protagoniste: i presidenti dei caseifici sociali e i giovani agricoltori di Futuro Verde; i dirigenti scolastici e gli insegnanti degli istituti comprensivi e delle scuole superiori; gli operatori e i dirigenti dell’ASL; i soci di quelle cooperative di comunità che proprio attraverso il racconto della SNAI l’intero Paese cominciava a conoscere e ad apprezzare. Serate passate a incontrare le giunte e i consigli comunali per convincere tutti a partecipare con entusiasmo a un progetto in cui non c’era “una torta da spartire” e nemmeno una vincita milionaria in cui sperare alla lotteria di un qualche bando di incerta provenienza e ignota destinazione.
C’era invece da costruire una “strategia” cioè un insieme coordinato di azioni, legate l’una all’altra e assunte con la responsabilità di chi è preoccupato del risultato è non si misura solo con il peso e la serietà dell’impegno. Una strategia che doveva essere convincente e, si sa, per essere convincenti bisogna essere convinti!
La strategia a cui abbiamo lavorato ha obiettivi ambiziosi. Vuole valorizzare il Parmigiano Reggiano di Montagna per il suo carattere distintivo e le sue qualità e quindi ottenere dal mercato un prezzo migliore, ma anche aumentare l’occupazione nella filiera portando in montagna fasi importanti, come la stagionatura e la commercializzazione, sul territorio e nella rete, occupando in queste attività nuove nuovi operatori, giovani e qualificati.
Vuole migliorare la qualità della formazione dei giovani, per avvicinarla alle esigenze del mercato del lavoro ma anche per avvicinare la domanda delle imprese a profili di specializzazione professionale più elevati e meglio retribuiti.
Vuole scommettere sulla sostenibilità della fruizione turistica puntando sulla capacità di attrazione del Parco Nazionale e della Riserva di Biosfera del programma MAB dell’UNESCO ma cercando anche di costruire il territorio della “Montagna del Latte” come destinazione di un turismo internazionale che guarda allo spazio rurale, alla qualità del suo cibo, alla bellezza e alla fruibilità del suo paesaggio, alla qualità umana della sua ospitalità.
Vuole assicurare connessioni performanti della rete telematica, capaci di sostenere le relazioni dei borghi e dei loro abitanti con le nuove modalità di esercizio del lavoro, di erogazione dei servizi, di organizzazione dell’intrattenimento.
Vuole consolidare e diffondere l’esperienza delle cooperative di comunità di cui vi parlavo per fare di tutti i mille borghi dell’Appennino luoghi vivi e abitati, ora che la pandemia Covid 19 ci ha insegnato quale valore hanno gli spazi a più bassa densità nei quali sono però presenti legami sociali ereditati dalla tradizione e rinnovati dalla scelta.
Alla fine della fiera cosa mi aspetto dal successo della strategia? Una strategia che è già all’opera in molte delle sue azioni e che sta già progettando il suo sviluppo futuro a cui lavoriamo guardando alla programmazione europea per il periodo 2021 – 2027 e alle risorse del recovery fund.
Potrei rispondere ripetendo il mantra della SNAI! Dire che mi aspetto di riuscire ad invertire lo spopolamento che da settanta anni sottrae risorse umane alla Montagna e riduce così l’attenzione, la manutenzione e il presidio che la presenza dell’uomo assicura a questi territori. Lo dico in un modo un po’ diverso.
Mi aspetto– se gli sforzi della Strategia avranno successo – che Castelnovo Monti diventi una piccola città degli studi capace di attrarre studenti anche dal pedemonte e dalla pianura, capace di ospitare summer school per la formazione post-secondaria e terziaria. Una città di montagna che, nel suo piccolo, diventi un luogo presente nella geografia dei saperi, sfruttando la nuova attenzione della conoscenza e della economia ai paradigmi organico biologici della sostenibilità e della economia della vita.
Nuovi paradigmi della conoscenza e della produzione per cui il rapporto con la biologia della natura e le biotecnologie delle pratiche agricole (e di tanto altro ancora) conteranno tanto quanto le culture tecniche che hanno interpretato il paradigma meccanico del Novecento hanno contato per costruire la motor valley e la industria meccatronica lungo l’asse della Via Emilia.
Immagino però che questa visione avrà successo solo se la sua realizzazione consentirà ai giovani della montagna, quelli che ci sono, quelli che potrebbero tornare e quelli che forse arriveranno anche da lontano, di abitare i mille borghi dell’Appennino e di rigenerare in ognuno di questi il tessuto di relazioni comunitarie riannodate da una scelta di vita compiutamente inserito nella contemporaneità.